martedì 8 maggio 2012

La privacy su Facebook e Google+? Un utente su due non conosce le regole


Chi frequenta i social network, e solo su Facebook parliamo di oltre 20 milioni di italiani, non ha le idee particolarmente chiare circa le politiche di accesso e di gestione dei dati personali applicate dalle aziende che offrono tali servizi. In altri termini non conosce come dovrebbe diritti e doveri concernenti la questione della privacy.

L'indicazione arriva da un'indagine della società specializzata in comunicazione digitale Siegel+Gale, secondo cui oltre la metà degli iscritti a Facebook e Google+ lamentano l'ignoranza di cui sopra e solo meno di un terzo è in grado di comprendere le policy dopo averle lette e consultate online. Lo stato di confusione, su un tema sicuramente complesso ed altrettanto foriero di polemiche, è abbastanza evidente e lascia pensare a una sorta di tacita rinuncia (da parte dei consumatori) a conoscere i criteri che regolano la pubblicazione di informazioni personali, immagini e commenti su piattaforme universali come quella di Mark Zuckerberg o quella del gigante di Mountain View.

Certo i 400 utenti oggetto di indagine possono anche non fare quantitativamente testo ma il fatto che lo stato d'animo di chi quotidianamente opera sui social network siano confusione e frustrazione non è certo un buon segno. E c'è un altro aspetto della questione che lascia aperto il campo a riflessioni: il livello di comprensione, da parte degli internauti, delle politiche di gestione dei dati personali operate da Facebook e Google+ - la cui valutazione media è stata rispettivamente di 39 e 36 punti su una scala da 1 a 100 - non è superiore a quello che gli stessi utenti possono esibire per ciò che concerne documenti governativi o contratti di servizio bancari.

Ci sono in particolare due percentuali che, seppur non elevate, dovrebbero in primis indurre a qualche ulteriore approfondita analisi le due big di Internet californiane. Dopo aver riletto le regole in materia di dati personali, il 36% e 37% dei rispondenti si è detto intenzionata a modificare il proprio comportamento online sui due social media, modificando le impostazioni inerenti la privacy, cancellando la cronologia delle ricerche e, in generale, utilizzando di meno social network e tutto ciò che è Web 2.0. Poco meno di due utenti su tre, questo dice in buona sostanza lo studio di Siegel+Gale, non prende provvedimenti una volta a conoscenza delle regole di gestione dei propri dati, o per disinteresse o per mancata comprensione delle regole stesse.
Teoria che trova riscontri in due indici. Il primo, pari al 23%, è relativo a coloro che, dopo aver letto le policy, hanno capito per esempio che i profili G+ risultano visibili a chiunque in Rete (anche tramite una semplice ricerca su Google). Il secondo, pari al 30%, riguarda chi è arrivato a realizzare il concetto che, anche impostando i parametri più restrittivi concessi da Facebook, gli user name rimangono di pubblica consultazione all'interno del social network più popolare del pianeta.
Utenti troppo superficiali, dunque, e magari anche non in grado di cogliere le sfumature presenti nei termini che regolano le policy. Ma c'è anche chi fa notare – e nella fattispecie il Center for Democracy and Technology - come le policy sulla privacy non siano lo strumento più idoneo per informare gli utenti, che di norma si appoggiano all'assistenza tecnica dei siti frequentati o addirittura alle sezioni "Faq" (le cosiddette Frequently Asked Questions) reperibili direttamente online.

Serve insomma (questa almeno la convinzione di Thomas Mueller, global director of customer experience di Siegel+Gale) che Google, Facebook e compagnia rivedano le rispettive policy sulla privacy rendendole meno complesse e più sintetiche e trasparenti in termini informativi. Ne va, dice l'esperto, anche della loro reputazione.

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